Quando_me ciaparà fogo la mona
Opera partecipativa.
2021 - cartoline in carta riciclata, frottage a grafite su carta pietra, dimensioni variabili.



Nel 1551, la Serenissima Repubblica di Venezia indisse un bando per sostituire la allora struttura lignea del Ponte di Rialto con una più solida in pietra. Vista la conformazione del territorio e la complessità dell’opera architettonica, passarono 37 anni prima che i lavori prendessero il via, una lunga attesa nella quale il popolo veneziano iniziò a burlarsi dell’effettiva riuscita dei lavori.

Si dice che, nel mezzo del mercato di Rialto, una popolana avesse sentenziato: “quando che i finisse il ponte, me ciaparà fogo la mona” (“quando finiranno il ponte mi prenderà fuoco la vagina”), e un popolano avrebbe così rilanciato “sto ponte i lo finirà quando ch’el casso farà l’ongia!” (“questo ponte lo finiranno quando al mio pene crescerà l’unghia”). Il ponte in pietra fu poi ultimato tra il 1588 e il 1591 e, in allusione a questa scommessa diventata famosa in tutta la città, sulla facciata del palazzo dei Camerlenghi furono scolpiti due bizzarri altorilievi, raffiguranti una donna-grifone recante una fiamma tra le gambe e una figura maschile con un pene unghiato. Una dedica alla diffidenza infondata, allo scetticismo verso un progetto che pareva azzardato ma a cui, come mi piace pensare, l’atteggiamento canzonatorio e genuino tipico dei veneziani sembra aver portato fortuna.




Attraverso la realizzazione di cartoline compilabili dai visitatori, recanti la frase “Quando... ...me ciaparà fogo la mona”, intendo mettere in palio la mia salute intima e portare anche io un po’ di fortuna ai sogni, desideri e messaggi delle persone, verso un futuro migliore per la città, un futuro migliore per se stessi o per il pianeta. Non si sa mai che prima o poi s’avverino.
I frottage su carta pietra di porzioni del corrimano del Ponte di Rialto mettono in luce l’erosione e il “consumo” irrispettoso a cui la città di Venezia è quotidianamente soggetta. Affacciarsi alla balaustra del Ponte in contemplazione del paesaggio e accarezzarne la superficie è oggi una prerogativa delle decine di migliaia di turisti che vi si susseguono ogni giorno, per il tempo di una foto o di un bacio, per incidervi un segno che dimostri loro il fatto di essere stati lì.

Recandomi al Ponte di Rialto per la realizzazione dell’opera, sgomitando tra i visitatori in transito, venendo da questi percepita come una parte del loro sogno romantico veneziano, ancora una volta mi sono trovata a immaginare l’inevitabile. Il destino di Venezia, da orgoglioso polo commerciale, culturale e artistico, fiorente e prospero, ad oggi si regge fondamentalmente sulla sua fama instabile di città-parco divertimenti, a misura di un turismo “usa-e-getta” che la consuma e la erode lentamente, che di essa percepisce solo un travestimento costruito appositamente. In questo scenario gli abitanti autoctoni non trovano né spazio né voce e il loro numero decresce costantemente.

Se questo è il presente, che direzione prenderà il futuro? Quando_me ciaparà fogo la mona riporta in auge un’antica scommessa, in un epoca in cui si fa un gran parlare di opere a fin di bene la cui effettiva realizzazione sembra non arrivare mai, vuole dar voce agli scettici e alle scettiche come me che, sotto sotto, ancora sperano che Venezia torni ad essere amata per davvero.






© 2020 Giorgia Agnese Cereda