Come in fisica una particella cambia stato energetico e, con un salto, accede al superiore, così, nel lavoro di Giorgia Cereda, da vasti sotto-mondi di rappresentazioni, alcune immagini salgono d’un balzo allo stato eccitato di opera d’arte.
Raffigurazioni di ordinaria appariscenza, tra il feticcio, il souvenir, l’amuleto, l’oggetto rituale – che incarnano tensioni animistiche o propiziatorie, o la pulsione alla collezione e l’attaccamento dei fruitori privati – si fanno disegno e pittura.
Ma, nell’opera, la vitalità basata sull’arbitraria attribuzione di valore o la partecipazione periferica dell’oggetto originale a situazioni storiche, biografiche o a narrazioni più rilevanti, si presenta con un senso d’assenza, di raffreddamento, di quanto è rappresentato: la fissazione del vivente con materiali inorganici, l’esaltazione di un’esistenza che appare già simulata nell’originale.
Riverbero delle antiche terrecotte sacre dei compianti e della tradizione plastica delle Via Crucis barocche, le drammatiche statue popolari da presepe napoletane – sotto forma animale o di personaggi marginali – ritratte qui come soggetti viventi, ci spiazzano; gli imperscrutabili oggetti di varia natura, accumulati da una nonna e divisi fra le figlie, nei disegni dal tratto aereo, assoluto, di apparizione, che ne alleggeriscono la fattura, ritrovano una loro unità, la propria aura, come in un’ambra che ne cristallizzi la vita; con le fusioni metalliche ottenute da calchi di piante selvatiche o da campioni di studio di quelle a rischio, protette, delle barene – penetrando la nebbia visiva dell’assuefazione al paesaggio di cui sono protagoniste ignorate – se ne restituiscono le fragili sembianze in forme nuove, stabili e nobili, e a loro modo già fossili.
L’indagine contestuale e il fascino per l’ossessivo, l’animato, l’amore per il residuale, hanno – nell’opera – un ironico sapore alla Richter.

Amerigo Nutolo

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In the same way that a particle changes energy level in physics, so too, in the work of Giorgia Cereda, from vast sub-worlds of representations, some images spring, leaping to the excited state of artwork.
Ordinarily flashy depictions, between the fetish, the memento, the amulet and the ritual object - which embody animistic or propitiatory tensions, or the impulse of private collectors, the attachment of their owner - they become drawing and painting.
But, in the artwork, the vitality based on the arbitrary attribution of value, or on the peripheral participation of the original object to historical, biographical or more relevant narratives, is given back with a sense of absence, of cooling: trying to fix the living with inorganic materials, the artist brings out an existence that already appears simulated in the original.
As reverberations of the ancient sacred terracottas of the Lamentations, and counterparts of the plastic tradition of the Baroque Via Crucis, the popular dramatic statues of Neapolitan nativity scenes - animals or marginal characters - are unexpectedly portrayed as living subjects; the inscrutable objects of varying nature, accumulated by a grandmother and divided between the daughters, in the airy, absolute appearance of the drawings - that lighten their original shapes - rediscover their unity, their aura, as in an amber stones where life is crystallised: with the metal castings obtained from casts of wild plants, botanical samples of those at risk, protected, indigeneous to the “Barena” salt-marsh - Giorgia Cereda penetrates the visual fog of habituation to the landscape of which they are silent protagonists - and returns us their fragility in new forms, stable and noble, in their own way already fossils.
The contextual inquiry and the fascination for the obsessive, the animated, the love for the residual, have - in Cereda’s work - an ironic taste in the vein of Richter.

Amerigo Nutolo